Zibaldone

Riflettendo sulle sorti del teatro italiano per le nuovi generazioni al tempo della pandemia è bene iniziare dicendo che il virus ha colpito un sistema, un “corpo” per sua natura fragile.
Un sistema artistico animato da operatori generosi ed esperienze significative, ma pressoché invisibile come movimento in termini storici al mondo editoriale e universitario (sia che si tratti dei vari dams o dei dipartimenti di scienza della formazione), che ha deboli rapporti con il mondo della critica (con la nobile eccezione di chi ci ospita), che è privo di stabili relazioni organiche con le altre arti rivolte all ‘infanzia e la gioventù e infine è stato colpito da una progressiva perdita di riconoscibilità come “settore” nei dispositivi normativi ministeriali che regolano lo spettacolo dal vivo nel nostro Paese.
Problematiche che si sommano a quello straordinario del virus, ai significativi effetti postumi che potrà produrre sul nostro sistema aristico e imprenditoriale nel tempo futuro.
In tal senso vale la pena ricordare che dopo l’attentato alle Torri Gemelle, il Teatro Metropolitan di New York impiegò 10 anni per ricostruire quantitativamente il pubblico che lo frequentava prima dell’attentato terroristico.
Un precedente significativo visto che il Covid 19, per la sua portata globale e la sua durata imprevedibile ma non certo breve, avrà effetti socioculturali ancor più significativi rispetto a quelli del 2001 e più significativi in termini economici di quelli del 2008. Facendo comunque prevalere l’ottimismo della volontà sul pessimismo della ragione, guardando l’orizzonte, credo che il sistema del teatro per le nuove generazioni italiano(chi mi conosce sa che preferisco fra le generazioni) non possa che farsi carico in questa fase di risposte straordinarie, capaci di realizzare un vero salto di paradigma. È necessaria una strategia diffusa creativa e d’impresa, dove la difesa sindacale del pane, mi si passi la metafora, sarà resa possibile dalla nostra capacità innovativa di far sbocciare nuove rose, le cui radici dovranno attecchire su una coraggiosa progettualità capace di dare nuova forza e visibilità alla nostra funzione artistica e sociale d’insieme. Non ci sono ricette precofenzionate e uguali per tutti vista la diffenza delle nostre imprese e delle dinamiche territoriali nelle quali operano, ma come ha dimostrato la battaglia sanitaria contro Covid 19, nel nostro caso la battaglia culturale contro la paura dell’altro, si vince sul territorio. Mentre i nostri teatri sono “rotti”, colpiti nella loro piena funzionalità lavorativa e di ospitalità,è necessario immaginare il territorio come scena diffusa, come laboratorio, protesi del lavoro che non è possibile fare momentaneamente nei nostri teatri. Per farlo, per non attraversare passivamente la crisi è necessario chiedere collettivamente, con forza, allo Stato centrale e diffuso, a cominciare dai Comuni, al sistema delle Fondazioni e delle Istituzioni private che finanziano il nostro lavoro culturale, di sostenerci, oltre che con l’abbattimento di inapplicabili logiche parametrali, premiando la nostra capacità , in ogni modo e con ogni mezzo,nel mantenere un rapporto “contingentato” ma di qualità con i cittadini. Per esempio in questa fase ci sia concesso in termini ministeriali il riconoscimento di nostre attività che prevedano la gratuità per il pubblico come necessari episodi di riconnessione con i nostri spettatori abituali e quelli potenziali, trasversalmente impoveriti e impauriti dalla pandemia e che con fatica faranno di nuovo la fila davanti ai nostri botteghini.
In linea con il nostro D. N. A. progettuale storico del nostro movimento artistico , fin dall’imminente estate, si utilizzino porzioni di parchi, giardini, luoghi di valore storico artistico e paesaggistico come scene possibili per effettuare azioni, performance,incontri, spettacoli nelle condizioni date.
Contestualmente è necessario rafforzare territorialmente i legami con l’intera filiera del sistema culturale locale per innescare processi d’interazione artistica con gli altri luoghi del sapere e della comunicazione, per realizzare “teatro” nelle forme più imprevedibili magari combinando in modo innovativo l’azione scenica in presenza di pubblico con forme di relazione a distanza sfruttando le tecnologie analogiche o digitali. In ogni territorio si lavori, a cominciare dalle comunità per noi strategiche, come le famiglie e la scuola, per costruire relazioni pissibili con il Teatro fuori dai Teatri anche per costruire dentro la comunità una più visibile domanda dal basso per accellerare, sostenere la loro riapertura.
Si agisca in questa direzione in tutta la Penisola ma senza dimenticare mai di essere solo una tessera di un sistema nazionale che si autovalorizza e si difende nella sua logica d’ insieme o va incontro a seri rischi.
Il pane infatti lo si difende se in ogni territorio rispondiamo con una capacità creativa e d’impresa che non ci spinga automaticamente a chiuderci in una logica, ulteriore, di autoprogrammazione, di difesa localistica del perimetro. È necessario, al contrario, inventare formule che, nelle condizioni date, siano in grado di rafforzare la collaborazione fra regioni e strutture con lo scopo primario di difendere la circolazione nazionale degli artisti e delle opere. La tentazione della risposta progettuale autarchica come unica risposta logica per attraversare il tempo indefinito della convivenza con il virus si potrà tradurre in un ulteriore “invisibilità” generale del nostro sistema nazionale facilitando, tra l’altro, antiche tentazioni che ci vogliono inquadrare in una logica di respiro regionale, in ottica Miur, valorizzandoci non come “segno artistico” ma come “strumento didattico”.
Questo tempo imprevisto e complicato chiede a tutti un maggiore senso di appartenenza e di solidarietà, una coraggiosa visionarità creativa perché, come mi disse un bambino con genialità assoluta:
il teatro è quel posto dove non c’è niente ma ci può succedere di tutto!
Dimostragli che aveva ragione da vendere.

Renzo Boldrini
Giallo Mare Minimal Teatro

articolo